Si è conclusa verso le 20 la direzione del PD da cui ci si attendeva un chiarimento in ordine ai rischi di scissione. Renzi non si è dimesso e non ha indicato né la data del congresso, né quella delle elezioni. Siamo al gioco del cerino per lasciare alla minoranza la responsabilità dello scisma.
Tutti gli interventi si sono barcamenati tra un prudente “Io non voglio la scissione ma…” e un opportunista “i problemi veri del paese sono”.
Che dire? L’intervento del Segretario Matteo Renzi è stato arrabbiato, la tensione è filtrata e una collera sorda gli ha fatto misurare parole calibrate al millimetro. Da entrambe le parti è stato un farsi la guerra senza prendersi la responsabilità politica delle ostilità e dunque dichiarazioni tattiche.
Un esempio? Renzi coglie la questione banche e relativa commissione d'inchiesta come terreno su cui sfidare la minoranza a rendere ragione delle gestioni del passato. A cominciare da MPS?
Nei toni della minoranza, seppur mai menzionata aleggiava la preoccupazione di ritrovarsi a elezioni con la formazione delle liste ancora saldamente in mano a Matteo Renzi. A legge elettorale vigente, infatti, il meccanismo dei capilista bloccati assicura al Segretario la scelta diretta del 70% degli eletti.
Il principale argomento retorico utilizzato dalla minoranza è stato il montare all'orizzonte del pericolo della destra lepenista e trumpiana, toni foschi ed emergenziali come sempre inscenati con mestiere da Pier Luigi Bersani. Dove nell'impossibilità di trovare a Matteo Renzi debolezze sul piano della capacità amministrativa e di governo in fatto di problemi reali, se ne sono evocati di futuri ed eventuali.
I giochi sono venuti allo scoperto al momento del voto finale sulle mozioni. La minoranza avrebbe voluto che venisse messa in votazione anche la propria mozione specificante tempi e modi del congresso con impegno del partito a sostenere Paolo Gentiloni fino a fine legislatura. Contenuti questi non esplicitati invece nella mozione di maggioranza che lasciava alla prossima Assemblea Nazionale PD - domenica 21 febbraio 2017 - il compito di decidere il timing del congresso.
La scelta tra impegnare il partito su alcune date cardine o lasciare la materia interamente alla discrezione dell'Assemblea Nazionale è stato considerato elemento che rendeva la due mozioni alternative e dunque ha indotto il presidente Matteo Orfini a ritenere - su consiglio di Piero Fassino - che l'approvazione di una mozione escludesse la contestuale approvazione dell'altra. Risultato: la mozione della minoranza non è stata messa ai voti.
L'episodio fa dire a Miguel Gotor che la maggioranza intenderebbe sottrarre la fiducia a Gentiloni.
Come si vede: espedienti da liturgie della politica per stanare i tatticismi dell'altro ed emergerne votati a superiori destini. Non si comprende però perché mai improvvisamente la minoranza tenga tanto a un'immagine politica non ostile dopo aver affossato il partito, la leadership e l'intero Paese con il proprio appoggio al "NO". Un espresso "NO" a favore di telecamera, ricordiamolo, dopo aver invece dato voto favorevole alle riforme in Parlamento.
Il voto ha confermato a Matteo Renzi una maggioranza quasi plebiscitaria di 107 voti a favore, con 12 contrari e 5 astenuti. Esito largamente anticipato dall’accoglienza glaciale riservata dalla platea a Rossi/Bersani/Speranza/Emiliano e dagli scrosci di applausi che hanno accompagnato gli interventi del ministro Graziano Del Rio e di Vincenzo De Luca.
Scissione? Lo psicodramma continua.
Postilla
Postilla dedicata a chi nemmeno davanti ai numeri si arrende alla presa di Renzi sul partito. Che Franceschini resusciti D'Alema e soci dopo quello che gli hanno fatto in passato e come l'hanno trattato ai tempi in cui fu segretario, non ci credo nemmeno se lo vedo. Quanto a Orlando, con la fuoriuscita della sinistra sinistra scoprirà di non trovarsi nella posizione migliore per mediare tra Franceschini e Orfini. A Franceschini: un Pd francamente social cristian liberale mi piace, ma ritornare alle coalizioni ti prego, non facciamolo.
Postilla di Monica Montanari
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